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[ scarpe e mutande ]
Vincent - Il mio baule non è ancora arrivato, ed è una cosa che mi secca…[1]
L’opera d’arte non sarebbe il disvelamento del bello, ma il disvelarsi della verità?
Proprio nella stessa lettera in cui dichiara di tenere per “la verità” e il vero, Vincent si intrattiene su banali fatti del tutto pratici: 
In questi giorni ho comprato un vestito, che mi costa 35 franchi, dovrò pagarlo verso la fine di marzo; con questo ne avrò per tutto l’anno, perché venendo qui avevo comprato un vestito per circa 35 franchi e mi è servito per tutto l’anno. Ma in marzo avrò bisogno di un paio di scarpe e di alcune mutande.[2]  

Noi prendiamo una cosa d’uso [3], come un paio di mutande, di guanti o di scarpe e crediamo di poter dire cosa sia questa cosa in assoluto. 

Ogni bene ha due usi…: l’uno proprio della cosa, l’altro no; per esempio una calzatura serve a calzarsi, ma anche a fare uno scambio. E ambedue infatti sono usi della calzatura. Poiché chi scambia per denaro o per alimenti una calzatura, si vale della calzatura in quanto calzatura, ma non per il suo uso specifico; poiché la calzatura non è fatta per lo scambio. Allo stesso modo stanno le cose per gli altri beni…[4]  
…disquisiva Aristotele secoli prima che i beni prodotti dagli uomini si trasformassero tutti in un immane raccolta di merci che iniziava a celebrare le sue fantasmagorie nei grandi magazzini e trionfare nelle Esposizioni Universali di Londra o in quella suprema di Parigi del 1889 – che Van Gogh si rammarica di non poter visitare.[5]
Come tirata per la cordicella di una berceuse l’opera prende a dondolare incessantemente fuori dalla raggiera di un unico punto di fuga. Per metterla in riga e afferrarla occorrerebbe farla passare almeno per due punti, proprio così come avviene per una linea in geometria intuitiva elementare. E allora perché non farla passare proprio per dove aborrisce transitare?... tra i due astri d’inerzia che hanno preso ad illuminare la modernità: la verità e il prezzo? 
Gli altri pittori, checché ne pensino, si tengono istintivamente lontani dalle discussioni sul commercio attuale.[6] 
C’è questo nell’ultima lettera e nell’ultima parola di Vincent - sempre accorto alla Cosa anche quando gli si presenta sottoforma dei biglietti da 50 o 100 franchi che trova nelle lettere di Theo; altro che anelito di infinitezza, assolutezza sacrificale e cristologica!…
...E anche la luce! Anche la luce vuole stringere nel pugno; che la tenga sulla tavolozza o dentro quei tubi di colore industriale commissionati con precisione elettrica…
Le scarpe sarebbero un mezzo per e della verità (in riposo)?  
Ma è possibile accedere all’opera in se stessa? Perché ciò potesse felicemente riuscire  bisognerebbe poter sottrarre l’opera a tutti i rapporti che essa ha con ciò che essa stessa non è, onde lasciarla, da sé, riposare in se stessa. Ma questo è proprio lo scopo ultimo dell’artista stesso, lasciar essere l’opera nel suo puro sussistere in se stessa. E’ proprio della grande arte – e di questa soltanto qui si discorre – il porsi dell’artista di fronte all’opera come qualcosa di indifferente, come una specie di momento passeggero annullatesi nell’oprare stesso in vista della produzione dell’opera.[7] 

Questa indifferenza dell’artista nei confronti del suo intero processo lavorativo e dell’opera prodotta, è troppo simile all’indifferenza del lavoratore salariato per non essere altro che l’essenza traslucida della generale indifferenza nei confronti di tutto ciò che viene prodotto nel dominante regime sociale del lavoro salariato.     

L'indifferenza verso un genere determinato di lavoro presuppone una totalità molto sviluppata di generi reali di lavoro nessuno dei quali domini più sull'insieme. Così, le astrazioni più generali sorgono dove si dà il più ricco sviluppo concreto, dove una sola caratteristica appare comune a un gran numero, a una totalità di elementi. Allora, essa cessa di poter essere pensata soltanto in una forma particolare. D'altra parte, quest'astrazione del lavoro non è soltanto il risultato mentale di una concreta totalità di lavori. L'indifferenza verso il determinato lavoro corrisponde a una forma di società in cui gli individui passano con facilità da un lavoro ad un altro e il cui genere determinato del lavoro è per essi fortuito e quindi indifferente. Il lavoro qui è divenuto, non solo nella categoria, ma anche nella realtà il mezzo per creare la ricchezza in generale, e, come determinazione, esso ha cessato di concrescere con gli individui in una dimensione particolare.[8] 

L’opera d’arte è il disvelarsi della verità – ci ha detto Heidegger. Però, il modo di produrre l’opera d’arte nell’indifferenza (che si risolverà poi facilmente nel predominio del “decorativo”) non è per nulla indifferente alla verità stessa cui poi questa (nel consumo) ci farà pervenire: una verità indifferenziata.

Se con le scarpe dipinte si arriva alla Verità è perché tanto si è riposto nella sua Verità assoluta quanto si è tolto alla verità determinata delle scarpe, dell’opera e dell’uomo all’opera, nelle loro percettibili determinatezze.
Allora, certo che uno magari incappa pure in scarpe, opere e uomini concreti, però li conosce e riconosce solo (in quanto) trasfigurati dal tabernacolo
[9] in cui le ha riposte la reciproca indifferenza della verità nei confronti delle scarpe così come delle scarpe nei confronti della verità.
Ognuno si pasce dell’indifferenza dell’altro, e solo con l'ignorare l'altro alimenta e rinnova la stupefazione estetica.
Non è certo però insipiente né indifferente van Gogh nei confronti del proprio corpo e del proprio operare. 

[1] - Vincent a Theo, Auvers-sur-Oise, 25 maggio 1890 (n. 875-637).
[2] - Vincent a Theo, Saint-Rémy 12 febbraio 1890 (n. 854-626). In questa lettera  Vincent per due volte si paragona ad un calzolaio.
[3] - Heidegger, Origine Ni68, p. 2 - “L’elemento costitutivo della cosa la sua consistenza, sta nell’unione di una materia con una forma [Form]. La cosa è materia formata… Con la sintesi di materia e forma è finalmente trovato un concetto di cosa ugualmente valido per le cose di natura e per quelle d’uso”.
[4] - Aristotele, De Republica, lib. I, cap. 9 (citato in K. Marx, Per la critica…,  cit. pag. 37).
[5] - Nel periodo in cui era ricoverato nell'ospedale psichiatrico Saint-Paul-de-Mausole, nel sud della Francia, vicino alla cittadina di Saint-Rémy, Van Gogh si lamentò più volte con il fratello di non poter visitare l'Esposizione di Parigi del 1889 perché era sotto terapia. Vedi anche lettere a Bernard in Materiali.
[6] - L’ultima lettera di Vincent a Theo - Auvers-sur-Oise 23 luglio 1890 (n. RM25-652).
[7] - Heidegger, Origine Ni68…, p. 25. Il brano citato è preceduto dal seguente: “L’arte è reale nell’opera d’arte. Perciò cerchiamo in primo luogo la realtà dell’opera. In che consiste? Se pur in modi diversi, le opere d’arte rivelano tutte un carattere di cosa. Il tentativo di concepire il carattere di cosa dell’opera con l’aiuto dei concetti abituali di cosa è andato incontro al fallimento. Non solo perché questi concetti non afferrano la cosità, ma perché, ponendo in questione l’opera sul fondamento del suo substrato cosale, la avvolgono in preconcetti che impediscono l’accesso all’essere opera dell’opera. Non è dunque possibile scoprir nulla circa la cosità dell’opera fin che non si è chiarito il puro stare-in-sé dell’opera”. Il puro stare-in-sé dell’opera corrisponde in qualche modo  all’indifferenza delle “cose-merci” nei confronti degli uomini - Cfr. § [2a figura inesistente (sinottica)]
[8]  - K. Marx, Lineamenti…, cit.,  pag. 31-32. (Parafrasato in Imprinting i, cit., pag. 32).
[9] - Oltre che nelle accezioni religiose, ebraiche o cristiane, mi piace annotare anche altri due significati di questo termine; di ordine mercantile (Tabernacolo: s.m. dal latino tabernaculum, der. di taverna, “baracca fatta di tavole di legno, bottega”) e di ordine militare e magico (Presso gli antichi Romani, tenda, attendamento militare; in particolare, la tenda costruita, secondo precise norme rituali (ad es. per l’orientamento) per il comandante militare perché potesse prendere in essa gli auspici).

ALTRE FIGURE ESISTENTI
Le varie versioni della Berceuse (Augustine Roulin) dipinte tutte ad Arles, come in una serie “industriale”, e soprattutto “popolare”. Da sinistra: - F 504; Arles, dicembre 1888; olio su tela cm. 92.0 x 73.0; Otterlo, Krölle Müller Museum; -
F 505; Arles gennaio 1889; olio su tela cm. 93.0 x 74.0; New York, Metropolitan Museum; - F 506; Arles, gennaio 1889, olio su tela cm. 93x73; Chicago, The Art Institute of Chicago; - F 507, Arles marzo 1889; olio su tela cm. 91.0 x 71.5; Amsterdam: Stedelijk Museum; - F 508; Arles, febbraio 1889;olio su tela cm. 92.7 x 73.8,; Boston, Museum of Fine Arts.






§ [ scarpe e mutande ]
Nota 4 - “Sapete, ciò che mi dispiace molto di non aver visto all’Esposizione, sono una serie di abitazioni di tutti i popoli… Ebbene! Potreste voi che l’vete vista, darmene un’idea e soprattutto uno schizzo col colore della casa egizia primitiva. Dovrebbe essere molto semplice, un blocco quadrato, credo, su una terrazza – ma vorrei conoscere anche la colorazione . In un articolo ho letto che era azzurra, rossa e gialla… In un’Illustration ho visto uno schizzo di antiche abitazioni messicane, sembrano anch’esse primitive e bellissime… Ah! Se si conoscessero le cose di allora e si potessero dipingere le persone di allora, che hanno vissuto là dentro, sarebbe bello…” (lettera di Vincent a Bernard, n. 809 -B20, 8 ottobre 1889). Il 20 novembre 1889 (822-B21), nel p.s. alla lettera in cui manifesta la sua disapprovazione per le sacre rappresentazioni di Gauguin e Bernard, scrive: “Grazie comunque della descrizione della casa egizia. Avrei voluto sapere ancora se era più grande o più piccola di una casa contadina delle nostre parti; insomma le sue proporzioni in rapporto a una figura umana. E’ soprattutto per il colore che chiedo informazione”. A Vincent interessa la casa dell’uomo… e il suo odore...
ARTICOLI DA VIAGGIO mezzi di trasloco e altre restituzioni
parte quarta H.D.S. MAROQUINERIES